Ci avevo pensato, preso qualche informazione al Rifugio Gardeccia, avevo cercato di intuire come si sviluppava il sentiero ….. me ne ero fatto un’idea assolutamente vaga. Alla fine dovevo andarci e provarlo.
Così parto, in una giornata seguente ad una leggera nevicata che aveva lasciato un velo bianco sulle superfici delle rocce dai 2300m in sù, alla volta del sentiero Bepo de Medil.
Il sentiero parte dal rifugio Gardeccia. Si deve seguire l’indicazione per il sentiero panoramico, che sale la valle del Vajolet sulla sinistra orografica del torrente …….
Il sentiero è ben evidente, sale con buona pendenza, passa un primo vallone ampiamente franato , dove sono presenti le tracce di passaggio degli escursionisti, quindi sale progressivamente fino alla quota di 2300m, dove si trova un segnavia che indica il percorso per il rifugio Vajolet e il Gardeccia. E’ qui che si abbandona il sentiero panoramico, e si prende a destra in corrispondenza di un evidente canalone alla base del quale si trova una bollatura rossa.
Si entra nel canalone e con fatica si avanza. Il ghiaino è ben presente e rende faticoso l’avanzare. Si procede per una cinquantina di metri e poi si prende decisamente la destra dove si entra nell’ultimo e più angusto canalino. Qui si trovano le corde posizionate da Giuseppe de Silvestro negli anni 30. Sono in cattivo stato, ma questo non è un problema, tutt’al più è consigliabile far attenzione a non ferirsi su parti di cavo rovinate.
Assolutamente consigliabile indossare un caschetto. Il canale è stretto e la caduta sassi potrebbe essere pericolosa. Si arriva dopo poco ad un salto, 2 m scarsi di roccia dove è presente uno scalino in posizione poco utile. Nel tempo si è persa un’altra corda che aiutava a superare il passaggio. Qui gli appigli sono pochi, personalmente ho risolto il passaggio alzandomi con le braccia e facendo poi leva sul gradino con la gamba destra. Superato questo passaggio c’è un’altra corda dove ci si può tenere in equilibrio per un breve tratto e poi si esce fuori dal canalone.
Punto panoramico sul versante ovest della Valle del Vajolet e su un vallone del tutto nascosto agli occhi da fondo valle, dove ho trovato un branco di mufloni. Da qui si continua su pendio roccioso senza difficoltà fino alla confluenza con la traccia che arriva dalla Busa di Larséch. Si continua verso la vetta. C’è solo un passaggio da fare attenzione, ove ci si abbassa di poco, si perviene a un intaglio, si risale un blocco di roccia e ci si porta senza più apprensione alla agognata cima. Qui si trova la croce posta da Giuseppe de Silvestro e benedetta da Don Tita Soraruf in memoria dei caduti di tutte le guerre.
La sensazione di essere in questo posto è di quelle che si ricordano. Come spesso capita abbandonare questa cime e il panorama che regala non è facile.
Scendo ripercorrendo il sentiero dell’andata fino al bivio che porta alla traccia che scende alla Busa del Larséch . La traccia è ben evidente e porta alla base della forcella delle Poppe. Da qui si può proseguire a destra verso il sentiero delle Scalette o a sinistra verso il Passo delle Pope. Proseguo a sinistra, con meta cima Scalieret. Terminata la discesa dalla Pala si risale per un centinaio di metri e si perviene presso un pianoro dove arrivano due distinti canalini. Uno di questi era presente nella vecchia Carta Tabacco come sentiero di discesa. Oggi non lo è più e nemmeno il gestore del Gardeccia lo ricorda. Non consiglierei quindi discese da qui. Il panorama è però molto bello, e vale la pena di sporgere la testa verso la valle del Vajolet.
Si sale ancora, circa duecento metri per raggiungere il Passo delle Pope. Qui le alternative sono prendere a sinistra il sentiero Don Guido e scendere al Rif. Vajolet o salire in Scalieret a destra. Prendo a destra per la Scalieret. Sono circa duecento metri di salita, non difficili ma faticosi per il terreno fatto di ghiaino scivoloso. Frequenti zig-zag portano in una mezz’ora in cima. Altro grande panorama, forse uno dei migliori del Catinaccio. Qui si può firmare sull’approssimativo libro di vetta, che più che altro sono fogli di vetta posti all’interno di una scatola metallica fissata sulla croce.
La giornata è molto particolare: c’è neve appena caduta, l’avanzare richiede attenzione e per fortuna ho con me i ramponi che mi garantiscono ottima tenuta soprattutto nelle zone dove è presente del vetrato.
Ora continuo in direzione Passo Antermoia, lungo la cresta e poi ridiscenderò la valle del Vajolet.
La cresta presenta solamente un tratto dove porre attenzione, appena sotto la cima. Si passa su terreno friabile molto stretto tenendosi alle rocce, o in alternativa si sta un po’ più alti e si ridiscende sulla traccia. Per il resto della cresta non ci sono problemi, piacevolissima e super panoramica. Verso la fine la cresta svolta a est, si scendono alcuni metri su rocce con terreno friabile e ci si pone su un’altra traccia che porta sotto al passo Antermoia. Continuo per il Passo Principe, scendendo per l’ultima mezz’ora quel pendio che ho percorso moltissime volte in quest’anno, e arrivo così al Rif. Principe.
Da qui in poi è una discesa lungo uno dei sentieri più battuti delle Dolomiti.
Questa Pala di Mesdì me la sono proprio gustata, una bella soddisfazione, un itinerario che ripeterò e lungo il quale porterò mio figlio quando sarà pronto per questi dislivelli!
Buona montagna!